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Prati: Storia di un quartiere che guarda avanti

Nelle idee della classe dirigente, lo sviluppo dovrebbe avvenire verso est, “verso l’altipiano orientale dove migliori sono le condizioni igieniche, più piacevoli le viste, più fermo e asciutto il suolo”, in direzione cioè dell’Esquilino e di Castro Pretorio. C’è, però, un gruppo di privati, formato da affaristi e industriali, che vede nella zona dei Prati di Castello terreno fertile per la costruzione di un quartiere moderno e attrezzato. Una ghiotta occasione di lucro da non lasciarsi scappare. A guidarli c’è il conte Edoardo Cahen d’Avnes, ricco banchiere ebreo di origine belga. Il titolo che porta lo ha ereditato dal padre, il quale lo ha ricevuto direttamente da Vittorio Emanuele II, come ringraziamento per i servigi resi alla causa dell’unità d’Italia. Il denaro dei Cahen, infatti, è servito a finanziare il movimento risorgimentale. Il conte ha l’influenza e il peso politico che servono perché i suoi desideri divengano realtà. Così, il 26 giugno 1872, il gruppo presenta un progetto, firmato dall’architetto Antonio Cipolla, per la realizzazione di un quartiere nell’area prescelta, su terreni che sono già stati acquistati in precedenza. Per il momento, questa proposta viene accantonata. Ma l’anno dopo viene rispolverata e inclusa nel primo Piano regolatore di Roma come “speciale piano di ampliamento da realizzarsi con il concorso degli interessati”. Sulla carta sono già presenti alcuni dei principali punti di riferimento del nascente Prati. L’asse principale, intorno al quale si prevede di costruire palazzi destinati alla borghesia, viene battezzato viale Reale. È l’odierna via Vittoria Colonna. Ci sono poi piazza Risorgimento e piazza Cavour, dislocate ai due estremi, e via Cola di Rienzo. Così, per iniziativa privati, comincia a sorgere Prati che, all’inizio della sua storia, prende il nome di quartiere Cahen. In tutta fretta, si allestisce anche un collegamento con l’altra sponda, in modo da rompere l’isolamento di questa zona. Non è il Ponte Cavour – che arriverà soltanto nel 1901 – ma una lunga passerella in ferro, chiamata Ponte di Ripetta. Lungo il corso del fiume non si vede più la barchetta di Toto Bigi, il famoso Caronte del Tevere, che per anni ha trasportato piccole folle di gitanti ai Prati di Castello. La campagna va lentamente scomparendo, lasciando il posto a lunghi viali alberati, ampie piazze, abitazioni ed edifici pubblici come il Palazzo di Giustizia. Nel mezzo, c’è una devastante crisi edilizia, che blocca i cantieri e rallenta, senza poterla davvero fermare, la creazione di una nuova realtà urbana. Nel 1921, a cinquant’anni dalla proclamazione di Roma Capitale, Prati è ormai città a tutti gli effetti. Manca soltanto un atto ufficiale. È l’Associazione tra Romani a suggerire che, in seguito all’ampliamento dell’Urbe, vengano istituiti nuovi rioni e quartieri. L’Amministrazione accoglie con favore la proposta, che viene approvata in via urgente dalla giunta municipale. Quel 16 dicembre, il consiglio comunale ratifica quanto già stabilito. Sette nuove rioni vanno ad aggiungersi a quelli storici. Prati è il ventiduesimo, l’ultimo. Se ne indicano con precisione i confini: via Leone IV, piazza del Risorgimento, via Stefano Porcari, piazza Adriana, Lungotevere Prati, piazza dei Tribunali, Lungotevere Castello, Lungotevere dei Mellini, piazza della Libertà, Lungotevere Michelangelo fino a viale delle Milizie. Lo stemma prescelto raffigura uno dei monumenti più iconici: l’antico Mausoleo di Adriano, che i secoli hanno trasformato in Castel Sant’Angelo. La votazione è rapida, per alzata e seduta. La maggioranza si esprime a favore. Prati ha finalmente il suo posto.

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